La Corte di Cassazione ha affermato che deve risarcire i danni cagionati l’odontoiatra che, nell’esercizio della propria attività professionale, non abbia adempiuto esattamente alla prestazione di cura dallo stesso dovuta in forza del contratto d’opera professionale concluso tra le parti, sussistendo un preciso nesso di causalità tra il danno denunciato dal paziente e l’inadempimento dell’odontoiatra, nonché in relazione alla violazione, da parte del professionista, delle leges artis connesse all’esatta esecuzione della prestazione professionale allo stesso demandata.
La Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte territoriale abbia correttamente dato conto (confermandolo) dell’iter logico-giuridico seguito dal primo giudice per la determinazione del risarcimento del danno alla persona riconosciuto in favore del (Omissis), sottolineando come il Tribunale avesse espressamente attestato l’adeguatezza della misura percentuale del 5% di invalidità permanente residuata a seguito dell’intervento del (Omissis), tenendo conto degli elementi dentari persi per effetto dell’inadempimento del medico, nonché dell’invalidità permanente in ogni caso residuata in capo all’attore alla luce della definitiva impossibilità, per il paziente, di ottenere l’eventuale applicazione di protesi fisse.
FATTO E DIRITTO: Con sentenza resa in data 19/3/2014, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva condannato (Omissis) al risarcimento dei danni subiti da (Omissis) a seguito dell’inesatto adempimento, da parte del primo, nell’esercizio della propria attività professionale di medico odontoiatra, della prestazione di cura dallo stesso dovuta in forza del contratto d’opera professionale concluso tra le parti.
A fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha confermato la correttezza delle valutazioni fatte proprie dal giudice di primo grado circa la sussistenza di un preciso nesso di causalità tra il danno denunciato dal paziente e l’inadempimento del medico, nonché in relazione alla violazione, da parte del (Omissis), delle leges artis connesse all’esatta esecuzione della prestazione professionale allo stesso demandata.
Allo stesso modo, la corte territoriale ha ritenuto correttamente individuato il quantum debeatur a titolo risarcitorio, ritenendo prive di fondamento le doglianze sul punto illustrate dal medico appellante. Avverso la sentenza d’appello, (Omissis) propone ricorso per cassazione.
Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non assumano alcuna efficacia vincolante per il giudice, potendo quest’ultimo legittimamente disattenderle là dove giustifichi la propria differente valutazione attraverso un esame critico che sia ancorato alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivato, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u.
Nel caso di specie – escluso il rilievo di alcun travisamento delle risultanze della c.t.u. svolta nel corso del giudizio di primo grado – osserva il Collegio come la Corte territoriale abbia correttamente dato conto (confermandolo) dell’iter logico-giuridico seguito dal primo giudice per la determinazione del risarcimento del danno alla persona riconosciuto in favore del (Omissis), sottolineando come il Tribunale avesse espressamente attestato l’adeguatezza della misura percentuale del 5% di invalidità permanente residuata a seguito dell’intervento del (Omissis), tenendo conto degli elementi dentari persi per effetto dell’inadempimento del medico, nonché dell’invalidità permanente in ogni caso residuata in capo all’attore alla luce della definitiva impossibilità, per il paziente, di ottenere l’eventuale applicazione di protesi fisse.
La stessa Corte d’appello ha quindi ritenuto nella sostanza sovrapponibili gli apprezzamenti del giudice di primo grado e del c.t.u., evidenziando la riconducibilità del minimo scostamento dello 0,50% tra le due valutazioni all’ambito della discrezionalità spettante al giudice del merito ai fini dell’approssimazione equitativa della determinazione del danno allo specifico caso sottoposto a valutazione; e tanto, sulla base di una trasparente e adeguata scansione logica dell’argomentazione adottata a fondamento della decisione assunta).
Allegato: Sentenza n. 29341