Il principio della trasparenza

Editoriale – Numero zero

Da  qualche tempo nella categoria e sui social il dibattito si è concentrato sulla pubblicità sanitaria o sulla forma organizzativa nella quale è consigliabile esercitare la professione. Come sempre, visioni contrapposte: chi vuole vietare tutto e insegue i bei tempi andati e chi si straccia le vesti invocando la libertà di impresa, entrambi portando a supporto delle proprie tesi esempi  eclatanti ripresi dalla stampa. Che (vedi il DiDomenica di Odontoiatria 33) riporta poi all’attenzione il mai risolto problema dell’abusivismo odontoiatrico, e delle complicità che richiede per essere realizzato.

In un settore così delicato come la gestione della salute,  caratterizzato come pochi altri da una persistente  e inevitabile asimmetria informativa, ogni argomento di quelli richiamati rimanda sempre alla mancanza di chiarezza.

Invocare la trasparenza e la veridicità, in ogni suo aspetto, del messaggio pubblicitario delimitandone  precisamente gli ambiti non è voglia di ritorno ad un improbabile passato, ma  semplicemente l’ unico modo per fornire informazioni chiare, non tendenziose, non suggestive o confondenti.

Permettere a soggetti diversi, sottostanti a leggi, sistemi fiscali e di controllo differenti  di esercitare la stessa professione porta più facilmente a truffe  come i casi delle catene fallite insegnano;  non si vuole  accusare il capitale di comportamento scorretto, ma si vuole affermare che in ogni situazione all’aumento dell’opacità (di proprietà, di responsabilità, di organizzazione) corrisponde sempre la maggiore facilità da parte di malintenzionati di approfittarne. Le regole,  se non sono uguali, favoriscono alcuni al danno di altri.

L’abusivismo è ancora molto presente, ma ha cambiato pelle: sono ormai rarissimi i casi denunciati che riguardano situazioni clamorose di studi abborraciati nei sottoscala( e sarebbe interessante aprire una riflessione sui chi si affidi all’opera di costoro). Come richiamato nell’articolo, ormai si annida  quasi sempre    all’interno di cosiddetti ” centri” o “cliniche” dove la complessità organizzativa serve solo a mascherare confusione di competenze e ruoli.  Dove non solo magari il tecnico prepara i denti, ma l’assistente raccoglie anamnesi ed  esegue radiografie e il ” commerciale” stila piani di trattamento e  dà indicazioni cliniche. Dare la responsabilità di tutto questo al direttore sanitario, o peggio al singolo professionista, non risolve il problema:  è molto spesso il soggetto debole del sistema, e l’unico a correre reali rischi (vedi il servizio di Striscia La Notizia del 02/04/2019). E, a volte,  anche esso parte danneggiata. E non può, e non deve, essere l’unico a dover rispettare le leggi dell’etica.