Mancata collaborazione della paziente: escluso l’inadempimento dell’odontoiatra

Dalla casistica giurisprudenziale, sia di legittimità che di merito, emergono diverse ipotesi in cui è venuta in rilievo la non corretta esecuzione di prestazioni odontoiatriche, con la conseguente perdita del compenso professionale e l’eventuale insorgenza di obblighi risarcitori.

La pronuncia resa dal Tribunale di Ferrara il 7 giugno 2017, che dirime la lite tra un odontoiatra e la sua paziente, non soltanto offre lo spunto per ripercorrere i precedenti in materia, ma consente altresì di mettere in luce come la mancata collaborazione del cliente possa risultare determinante ai fini dell’insuccesso del programma terapeutico pur adeguatamente approntato dal professionista, al punto da precludere ogni addebito nei suoi confronti.

 

Tribunale di Ferrara, sentenza 7 giugno 2017, n. 600

La controversia decisa dal Tribunale di Ferrara, con sentenza pubblicata il 7 giugno 2017, prende le mosse dal rifiuto opposto dalla paziente di un odontoiatra alla richiesta di pagare la soma da quest’ultimo richiesta a fronte delle prestazioni sanitarie effettuate. A fronte di tale diniego, e previo rilascio del parere di congruità del competente Consiglio dell’Ordine, il professionista chiedeva ed otteneva l’emissione di un decreto ingiuntivo. La paziente proponeva, quindi, opposizione, lamentando l’inadeguatezza della terapia cui era stata sottoposta che, a suo dire, non solo non avrebbe risolto le problematiche che ella presentava, ma ne avrebbe addirittura fatte insorgere altre.

In via generale, va ricordato che, qualora in un vertenza originata dalla richiesta di compenso per prestazioni odontoiatriche si discuta dell’inadempimento del dentista, grava su quest’ultimo, in conformità all’indirizzo seguito per gli esercenti le professioni sanitarie, la dimostrazione dell’adempimento o dell’esatto adempimento della prestazione, sia sotto il profilo dell’obbligo di diligenza e perizia, sia della conformità quantitativa o qualitativa dei risultati che ne sono derivati, mentre sono a carico del committente l’onere di allegazione dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento e la dimostrazione del pregiudizio subìto e del nesso causale tra tale pregiudizio e l’attività del professionista (così Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2006, n. 17306, con cui è stata cassata la sentenza di merito che, nell’accogliere la domanda dell’odontoiatra, aveva posto a carico del cliente soccombente l’omessa dimostrazione dell’esistenza di ineliminabili vizi e difformità della protesi commissionata e, in particolare, la mancata constatazione dei vizi mediante un accertamento peritale, considerando irrilevanti le testimonianze addotte per dimostrare le ulcerazioni e i gonfiori alle gengive causati al paziente dall’impianto della protesi stessa).

La casistica giurisprudenziale, sia di legittimità che di merito, evidenzia diverse situazioni in cui è stata ravvisata la responsabilità dell’odontoiatra.

Si è ritenuta gravemente colposa la condotta del medico odontoiatra il quale, dopo avere realizzato una protesi dentaria provvisoria, aveva lasciato trascorrere ben diciotto mesi senza provvedere alla realizzazione dell’impianto definitivo, in tal modo favorendo l’insorgenza di fenomeni irritativi delle mucose gengivali, con conseguente produzione di danni patrimoniali a carico del soggetto interessato dall’intervento (Cass. civ, sez. III, 24 aprile 2008, n. 10668, secondo cui l’esecuzione di un intervento di protesi dentaria deve ritenersi di agevole ed abituale esecuzione). Ancora, la colpa grave dell’odontoiatra è stata desunta dal fato che egli, pur in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà, aveva praticato un intervento chirurgico in sito diverso da quello su cui si sarebbe dovuto svolgere e senza tenere conto di un preesistente stato di invalidità del paziente (Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1991, n. 7262).

Nell’eventualità in cui, a causa di vizi, una protesi dentaria si era rivelata inutilizzabile, un giudice di merito ha condannato l’odontoiatra che l’aveva installata a restituire al cliente il compenso percepito e a risarcirgli i danni cagionatigli, ivi compresi i costi degli interventi di ripristino dell’apparato dentario, eccettuando tuttavia le spese di rifacimento della protesi (Trib. Varese, 5 novembre 2001, dove si è altresì evidenziato che, in caso di azione di regresso esperita dall’odontoiatra nei confronti dei suoi ausiliari, in relazione ai pregiudizi che egli è tenuto a rifondere al suo cliente per la cattiva esecuzione di una protesi dentaria, sul professionista incombe l’onere di dimostrare il mancato rispetto da parte dei medesimi ausiliari delle direttive da lui impartite).

La responsabilità contrattuale del dentista è stata poi riconosciuta in un caso in cui il professionista, avendo applicato a una paziente una capsula di metallo-ceramica su di un dente già devitalizzato, in seguito ad un ascesso periapicale aveva liberato il dente stesso dalla capsula, con successiva estrazione da cui era derivata una fistola oro-antrale chiusa con un intervento di chirurgia plastica in anestesia totale (Trib. Orvieto, 29 maggio 1998, che ha ravvisato l’imperizia del dentista nel fatto che l’ascesso periapicale non fu da lui affrontato secondo i protocolli comunemente adottati perché, occorrendo nel caso una terapia antibiotica e la creazione di un drenaggio del pus, da praticarsi arrecando il minor danno ed il più precocemente possibile, queste due regole non erano state seguite in quanto, pur essendo stata fatta una diagnosi precisa della patologia in atto e praticata una terapia antibiotica, la creazione del drenaggio fu effettuata in ritardo e in maniera non corretta).

Si è, inoltre, stabilito che l’odontoiatra incaricato della progettazione e installazione di un manufatto protesico, nel caso di sua incongrua realizzazione, in assenza del ricorrere di problemi tecnici di speciale difficoltà, infrange i doveri connessi alla propria attività professionale ed è pertanto tenuto a risarcire il danno biologico cagionato al paziente, perdendo nel contempo del diritto alla controprestazione economica per l’intervenuta risoluzione del contratto di cura (Trib. Forlì, 29 marzo 1996).

Tornando al giudizio di opposizione incardinato presso il Tribunale di Ferrara, va detto che è stata riconosciuta la piena fondatezza della pretesa avanzata dall’odontoiatra in relazione all’importo fatturato. Nell’istruttoria, è infatti emerso che la paziente non aveva collaborato alle cure, disertando gli appuntamenti, e ciò aveva impedito di portare a termine il programma terapeutico predisposto dal dentista. Proprio in virtù di tale mancato apporto cooperativo, non poteva essere ascritta alcuna responsabilità al professionista. Il decreto ingiuntivo è stato comunque revocato, dal momento che la condanna monitoria, da un lato, si estendeva alle spese sostenute per l’ottenimento del parere di congruità, che la sentenza ha ritenuto non necessario ai fini dell’esercizio del diritto di credito, e , dall’altro computava gli interessi nella misura prevista dalla normativa sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in materia non assoggettata a tale disciplina e in una causa intrapresa prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 1284 c.c.che a tale normativa esplicitamente rinvia.

Le conclusioni raggiunte dal giudice della località estense in punto di responsabilità del professionista non si discostano di molto da quelle cui era approdato il Tribunale di Belluno nella sentenza depositata il 28 giugno 2010, anch’essa resa su opposizione a un decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di prestazioni odontoiatriche. Orbene, pure in quella circostanza la paziente aveva dedotto la responsabilità professionale dell’odontoiatra in ordine alle lesioni asseritamente conseguenti all’intervento protesico.

Se, per un verso, il giudicante reputava non esente da pecche l’operato del dentista per quel che concerne il periodo in cui si erano svolte le cure, foriero di un danno da inabilità temporanea alla paziente, per altro verso, aveva sancito che tutte le conseguenze lamentate successivamente al completamento dell’intervento dovessero essere attribuita all’incuria della paziente medesima. Quest’ultima, infatti, non si era presentata agli appuntamenti fissati per il controllo della protesi impiantata nell’arcata dentaria superiore, pur avendo sperimentato problemi con la stessa, e per giunta non aveva intrapreso alcun trattamento riabilitativo anche dopo l’interruzione del rapporto di cura con la controparte. Il comportamento non cooperativo del paziente può, dunque, assumere rilievo per escludere la responsabilità del medico, il che è concepibile persino rispetto all’omessa collaborazione che renda impossibile al sanitario l’adempimento dell’obbligo di informazione su di lui gravante nella fase prodromica e in quella esecutiva del rapporto (Trib. Firenze, 7 gennaio 1999).

Fonte: altalex.com