Cassazione Penale Sentenza n. 14501/18 – Esercizio abusivo professione odontoiatrica

Cassazione Penale Sentenza n. 14501/18 – Esercizio abusivo professione odontoiatrica – “Non può ritenersi che l’imputato abbia assunto e mantenuto la direzione sanitaria dello studio senza essere a conoscenza del fatto che ivi si svolgesse l’attività odontoiatrica da parte di un semplice odontotecnico. All’imputato non poteva sfuggire, nei pur saltuari accessi effettuati, che lo studio non era attrezzato come semplice laboratorio per la creazione e la sistemazione delle protesi, ma come luogo ove si ricevevano i pazienti e si somministravano loro cure dirette, essendo munito di un classico “riunito” alla studio dentistico e dotato dei farmaci necessari per l’esercizio della professione odontoiatrica. Erano, inoltre, facilmente rinvenibili le annotazione degli appuntamenti che il concorrente prendeva con gli ignari pazienti. Né infine gli poteva sfuggire che nessun professionista esterno aveva in quel periodo preso in locazione lo studio”.

FATTO E DIRITTO:  Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Pavia in data 10 maggio 2016 che condannava T. C. alla pena di mesi uno di reclusione per il reato di cui agli articoli 110, 348 cod. pen. commesso dal novembre 2008 al dicembre 2011. Si contesta l’imputato di essersi prestato a ricoprire la carica di direttore sanitario dello studio (Omissis) s.a.s. pur essendo privo delle necessarie abilitazioni, nonché di essersi qualificato quale odontoiatra nella dichiarazione indirizzata alla ASL. Ciò in concorso con un odontotecnico, S. P., il quale rivestiva la carica di amministratore della Eurodental s.a.s. ed eseguiva materialmente prestazioni odontoiatriche che, in realtà, non poteva eseguire.  Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore deducendo i seguenti motivi. E’ pacifico che l’imputato non abbia mai svolto l’attività di odontoiatra e che quindi sia stato imputato per concorso nel reato commesso da S. Di tale concorso però non vi è la prova non essendo dimostrato alcun contributo personale del concorrente alla realizzazione del reato. Per poter ipotizzare il concorso del titolare di uno studio odontoiatrico è necessario dimostrare che questi conoscesse che nello studio venivano eseguiti interventi per cui necessitava una speciale abilitazione e che consentisse tali interventi. Il ricorso è inammissibile in quanto orientato a riprodurre, con generiche formulazioni, un quadro di argomentazioni già esposte nel giudizio d’appello – ed ancor prima dinanzi al Giudice di primo grado – che tuttavia risultano ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale. Va, comunque, detto che la Corte di appello evidenzia puntualmente che la delega al NAS di Cremona in relazione all’espletamento dell’interrogatorio dell’imputato era giustificata dal fatto che si trattava della stessa polizia giudiziaria che aveva effettuato gli accertamenti nello studio del quale il T. era il direttore sanitario. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di primo grado, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso le diverse impostazioni ricostruttive prospettate dal ricorrente, non solo ponendone in rilievo, attraverso il richiamo ai passaggi argomentativi, l’assoluta genericità e la totale assenza di riscontri, ma altresì osservando, con dirimenti argomentazioni che: 3.1.1. l’essersi falsamente qualificato come odontoiatra era azione certamente utile per dare legittimità formale ad uno studio dentistico dove, in realtà, operava solo un odontotecnico; 3.1.2. non può ritenersi che l’imputato abbia assunto e mantenuto la direzione sanitaria dello studio senza essere a conoscenza del fatto che ivi si svolgesse l’attività odontoiatrica da parte di un semplice odontotecnico. All’imputato non poteva sfuggire, nei pur saltuari accessi effettuati, che lo studio non era attrezzato come semplice laboratorio per la creazione e la sistemazione delle protesi, ma come luogo ove si ricevevano i pazienti e si somministravano loro cure dirette, essendo munito di un classico «riunito» alla studio dentistico e dotato dei farmaci necessari per l’esercizio della professione odontoiatrica. Erano, inoltre, facilmente rinvenibili le annotazione degli appuntamenti che il concorrente prendeva con gli ignari pazienti. Né infine gli poteva sfuggire che nessun professionista esterno aveva in quel periodo preso in locazione lo studio. A ciò deve aggiungersi che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art.131-bis cod.pen. non può essere dichiarata con riferimento al reato di abusivo esercizio di una professione, in quanto tale delitto presuppone una condotta che, in quanto connotata da ripetitività, continuità o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici, è di per sé ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende

Fonte: fnomceo.it