Dental Wars: che la Forza sia… con chi?

Il paziente medio è più informato, più consapevole, più attento. Ha a disposizione i  mezzi per documentarsi su cosa sia meglio per lui, dove rivolgersi, sa quanto spenderà, può confrontare le offerte presenti sul mercato, sa giudicare la qualità . Ha idee chiare su cosa sia meglio, come ottenerlo e dove reperirlo.  E’ padrone della propria salute.

O NO?

La principale fonte di informazione dei pazienti purtroppo però  proviene dalla pubblicità sanitaria. Il  mercato propone  messaggi che , sfruttando l’inevitabile asimmetria di conoscenze tra operatori e fruitori, distorcono la percezione del pubblico descrivendo come routinarie e ideali soluzioni che possono essere applicate solo in casi selezionati, trascurano di evidenziare i rapporti costi/beneficio di dette soluzioni, inducono falsi bisogni e aspettative. Secondo alcune indagini demoscopiche, emerge come soprattutto nelle fasce di popolazione più giovani e meno scolarizzate si stia assistendo a una progressiva deriva di aspettative da “qualità delle cure” a “acquisto di bene di consumo”. Anche  il concetto della visita gratuita è ormai entrato nella normalità, tanto da essere considerato irrinunciabile dalla assoluta maggioranza del campione. (https://www.caoce.it/wp-content/uploads/2018/11/LA-PUBBLICITA%E2%80%99-SANITARIA.pdf ) Le recenti modifiche legislative del settore, ancorchè tardive, intendono intervenire su questi temi. La norma contiene riferimenti precisi ai concetti di “promozionale” e “suggestionale”. Parlando di pubblicità, escludere la “promozionalità” può sembrare una contraddizione, ma qui si tratta di informazione sanitaria, cosa ben diversa. Che dovrebbe riguardare esclusivamente, a norma di legge, titoli posseduti, sede dell’attività, reperibilità, servizi offerti. Con sentenze che confermano questa tesi. Il concetto di “suggestionale” entra invece nella formazione delle convinzioni e delle conoscenze del cittadino; ci sono forme di pubblicità occulta veicolata da siti internet e pagine facebook, blog e tutte le altre forme di comunicazione oggi esistenti dove sfruttando le potenzialità del mezzo si producono i fenomeni distorsivi più pericolosi e scorretti, proprio perché non percepiti come messaggi pubblicitari. Intanto il numero degli studi mono professionali sta diminuendo, le società di professionisti e di capitale ormai hanno oltre il 33% del fatturato, l’odontoiatria italiana cresce, ma a ritmi ridotti.

Questa è la sintesi dei dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate riferiti agli studi di settore 2017 (redditi 2016) degli studi odontoiatrici italiani. In un’ indagine condotta per Andi piemonte da KeyStone, emergono alcuni dati salienti: più del 70% delle società registra un utile prima delle imposte inferiore a 50.000 €, con una redditività media molto bassa (negativa per più del 30% delle società); viceversa, il 75% circa registra un fatturato superiore ai 150.000 €, più del 60% superiore a 250.000€, il 45% superiore a 500.000 €. Quindi fatturati medio-alti, con redditi medio-bassi o negativi.Un altro dato emerso dalla stessa indagine: pur essendo minoritario il ricorso all’ “odontoiatria organizzata” la spesa media sostenuta presso questi soggetti è decisamente superiore rispetto a quella destinata all’odontoiatra tradizionale. (https://www.caoce.it/wp-content/uploads/2018/12/Esercizio-in-forma-societaria-odontoiatria.pdf )

A questo punto, è evidente che il settore stia profondamente mutando la propria natura, con l’ingresso di logiche puramente imprenditoriali sconosciute in passato. Questo confonde gli operatori ancora in gran parte appartenenti a una categoria che pensa a sé come “libero professionista”, stravolge e cambia le regole del mercato dentale, obbliga a riflettere su quale modello convergere e se la salute sia solo un business e non più l’oggetto di una professione d’aiuto. Si sono creati due modelli, forse fino ad ora non identificati correttamente: l’imprenditore (capitale proprietario di catene, oppure intestatario di studi “strutturati”, incidentalmente a volte anche dentista) e l’odontoiatra classico (libero professionista, titolare o contitolare di studi più o meno grandi). La differenza tra le due impostazioni non risiede nella dimensione della struttura , o nella forma in cui si esercita ( se per l’imprenditore puro la forma societaria è obbligata, spesso è scelta anche dal libero professionista), ma nell’approccio. Ovviamente l’imprenditore guarda principalmente al ritorno del capitale investito, e misura il suo successo in termini di aumento del fatturato. Il professionista si focalizza maggiormente sul grado di soddisfazione derivante dal proprio lavoro, tanto da arrivare ad identificarsi con esso.  In entrambi i casi la soddisfazione economica fa parte dei parametri, ma se in un caso ne è il fine, nell’altro è un metro di misura di altre variabili.

Il primo risultato che l’imprenditore deve raggiungere è avere un marchio  e un prodotto riconoscibile; necessita di acquisire sempre nuovi pazienti, raccogliendoli tra coloro che “ non hanno un dentista” ; deve  massimizzare il fatturato ottenibile per ogni singolo nuovo ingresso, e rendere l‘aumento di nuovi accessi esponenziale. Applica  ne più ne meno i comportamenti che qualunque tipo di attività produttiva deve mettere in campo per espandersi. La filosofia del professionista è parzialmente diversa;  la ricerca di nuovi pazienti diventa meno impellente ma aumenta la tendenza alla fidelizzazione  e alla  soddisfazione di bisogni che non necessariamente coincidono con il maggior fatturato possibile; gli investimenti in comunicazione diventano molto meno massicci, o addirittura nulli. La pubblicità  funziona ma costa. Il dentista tradizionale  non può permettersela, se vuole efficacia. L’imprenditore, al contrario, ne ha bisogno per crescere, e vi investirà tutto quanto potrà. Non si vuole entrare in aspetti etici e attribuire all’ uno o all’altro comportamento patenti di maggiore correttezza; ma evidenziare come la presenza , o assenza, di regole sia in grado di per sé di determinare l’evoluzione del settore. La confusione tra i due approcci  ha portato a  una convivenza conflittuale tra le due anime; ogni  tentativo di controllo viene definito oscurantista dalla parte imprenditoriale, e non sufficiente dalla parte professionale.

La  pubblicità, la possibilità di esercizio in forma societaria, il regime fiscale, l’ingresso prepotente del terzo pagante, l’implementazione di nuove tecnologie, la tentazione del sistema pubblico di appaltare all’esterno la gestione dell’odontoiatria, la stessa politica degli accessi ai corsi di laurea generano spinte contrastanti, se non antitetiche.   Come ogni problema complesso, la soluzione non può essere semplicistica, se non si ha una visione chiara di quale tipo di esercizio professionale sia meglio adottare per la società, e quale dia le migliori risposte in termini di benessere generale. Ma non possiamo delegare la scelta alla funzione autoregolatoria del mercato, è un modello che ha già dimostrato i suoi limiti in molti altri settori, e anche in questo sta generando disastri. E non possiamo neppure pensare di lasciare la decisione in mano ai nostri pazienti. Sono, non per loro colpa, vittime innocenti della persuasione occulta, e facile preda del lato oscuro.

GIAN PAOLO DAMILANO