La recente riforma tende, in concreto, a favorire il mercato dei profitti a vantaggio delle corporazioni economiche, senza alcuna diretta salvaguardia degli operatori sanitari e dei destinatari delle cure.
L’entrata in vigore della Legge annuale per il Mercato e la Concorrenza ha comportato una sostanziale – e purtroppo
non positiva – “rivoluzione” nel modo di esercitare l’attività odontoiatrica.
L’odontoiatria è ricompresa nelle attività sanitarie ed ha a cuore il bene primario dei cittadini, vale a dire la salute pubblica, che ha trovato ingresso nei principi della nostra Carta Costituzionale, fonte legislativa primaria del nostro Stato.
La recente riforma tende, in concreto, a favorire il mercato dei profitti a vantaggio delle corporazioni economiche, senza alcuna diretta salvaguardia degli operatori sanitari e dei destinatari delle cure che dovranno accontentarsi o soccombere, con palese subordinazione all’aspetto economico anziché al contrapposto interesse primario alla tutela della salute.
L’art. 1, commi 153, 154, 155, 156 della novella ha ampliato l’esercizio dell’attività professionale degli odontoiatri con l’introduzione di società di capitali, che potranno così assumere un ruolo determinante ed esclusivo nell’erogazione del servizio odontoiatrico.
Le norme in riferimento, infatti, introducono la figura della società quale diretto fornitore della prestazione, essendo sufficiente che essa abbia al proprio interno un direttore sanitario, iscritto all’Albo e con un rapporto esclusivo, non potendo lo stesso soggetto rivestire il medesimo incarico in altre strutture sanitarie.
Viene così ad essere intaccato il rapporto diretto tra medico e paziente, che deve costituire l’elemento fondante nella
relazione di cura. In buona sostanza, il cittadino si vedrà “curato” non più da un professionista riconoscibile e responsabile della buona riuscita della terapia ma da una società che, benché fornita di un direttore sanitario, non potrà mai costituire una reale interfaccia del paziente. In altre parole, il paziente potrà essere curato da diversi professionisti, magari neppure in diretta comunicazione tra di loro.
Quello che preme sottolineare è anche l’evidente disparità di trattamento tra il cittadino che si rivolgerà a una struttura pubblica e il cittadino che si recherà presso queste nuove strutture private.
Mentre nel pubblico la figura del direttore sanitario deve rispondere a specifici requisiti di competenze e di esperienze previste dalla legge, nella struttura privata il direttore sanitario potrà essere un qualsiasi iscritto all’Albo degli Odontoiatri, magari anche un giovane neolaureato in cerca solo della prima occupazione e, pertanto, spesso, condizionabile anche perché posto di fronte a responsabilità dirette, oggi ben definite anche dalla legge.
Si è venuta a determinare inoltre, una palese differenziazione rispetto alle regole vigenti o previste per altre categorie professionali, alle quali è stato riconosciuto il diritto di mantenimento almeno del 51 % o dei due terzi delle società,
rispetto al capitale.
rispetto al capitale.
Per questi motivi la Cao nazionale sta approfondendo, attraverso i necessari strumenti che la legge pone a disposizione, la possibilità di adire, tramite le Regioni, alla Corte Costituzionale, anche considerando che nel campo dell’assistenza sanitaria le norme della Legge di Concorrenza sembrerebbero ledere l’autonomia nel campo che la Costituzione attribuisce alle Regioni.
È un impegno difficile ma su cui la Cao nazionale intende spendere tutte le proprie capacità per raggiungere un risultato che garantisca la tutela della salute per tutti i cittadini, in tutti gli ambiti per cui vengono curati, quindi anche per le patologie odontoiatriche.
Fonte: panoramasanita.it